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Salita al Dente del Gigante, Monte Bianco

del
  • Alpinismo

Classica salita al Dente del Gigante 4.014 metri sul Massiccio del Monte Bianco in un ambiente magico. Impostiamo la sveglia alle 3:45 e ci buttiamo nel sacco letto in una delle camerate del Rifugio Torino. Di cose a cui pensare ce ne sono anche troppe, sono stati giorni intensi e pieni di belle esperienze ma non è ancora finita. Tra qualche ora ci aspetta il Dente del Gigante!

Dent du Géant, 4.014 metri

Impostiamo la sveglia alle 3:45 e ci buttiamo nel sacco letto in una delle camerate del Rifugio Torino. Di cose a cui pensare ce ne sono anche troppe, sono stati giorni intensi e pieni di belle esperienze ma non è ancora finita. Tra qualche ora ci aspetta il Dente del Gigante!

Dopo pochi minuti di riflessioni la stanchezza prende il sopravvento e mi addormento senza fastidi o problemi dovuti alla quota. Le ore che ci separano dalla colazione sono poche e passano veloci. Mi sveglio qualche minuto prima che l’orologio suoni.

Ci vediamo con Marco e Giuseppe per la colazione, mangiamo con calma e senza l’ansia di partire. Le cordate dirette al dente sono talmente tante che sarà impossibile evitare il traffico. Scendiamo nel deposito, ci vestiamo e ci prepariamo per il ghiacciaio. Fuori fa freddo per fortuna, ci leghiamo e partiamo alla luce delle frontali.

Non ci vuole molto ad attraversare il ghiacciaio per arrivare alla base della gengiva. Superiamo un paio di cordate e ci togliamo i ramponi per iniziare a salire tra gli sfasciumi alla base del dente.

Albeggia mentre arriviamo alla base della parete dove lasciamo uno zaino con piccozze, ramponi e tutto il materiale superfluo. Ne portiamo con noi due leggeri con il minimo indispensabile.

Dopo un po’ di attesa per il traffico, arriva finalmente il nostro turno. Marco parte da primo, io e Giuseppe lo seguiamo. La via è attrezzata con corde fisse, quindi dove necessario si segue la regola dell’acchiappa e tira! Con buona pace dello stile e dell’eleganza ma in mezzo al traffico non c’è alternativa, non c’è tempo.

La parete attrezzata con corde di canapa fisse e le cordate impegnate in salita prima di noi.

Ci precede una cordata lentissima che non ci ha lasciato passare alla base della parete e quindi aspetteremo ad ogni sosta che il tiro si liberi dai tre che ci scalano davanti. L’aspetto positivo del traffico è che in una bella giornata come questa c’è il tempo di godersi il panorama e imprimerselo bene nella memoria. Intorno c’è praticamente tutto! Dal Monte Bianco al Pic Adolphe Rey scalato il giorno prima. Il lato negativo è che a nord la temperatura scende decisamente e a stare fermi in coda fa un freddo cane!

Scarponi, freddo, guanti, traffico, nulla a che vedere con le sensazioni provate sul granito della Via Salluard salita poche ore prima.

Sulla catena dell’ultima sosta, prima del traverso in cresta, troviamo una sorpresa inquietante ma che mostra quanto siano resistenti i materiali usati oggi. Un fulmine caduto a pochi centimetri dalla catena ha completamente fuso bullone e spit. La cosa fantastica è come la catena si sia sciolta e assottigliata sotto il suo stesso peso. Il freddo l’ha solidificata di nuovo prima che si tagliasse come cera calda. Siamo praticamente su una scaglia di granito a 4000 metri e durante i temporali qui su deve accadere di tutto, è una specie di parafulmine naturale.

Il dettaglio della catena e dello spit fusi dal calore del fulmine

L’esposizione aumenta, il traverso sulla cresta per raggiungere la vetta è aereo e ovviamente bellissimo. Intorno il panorama è spettacolare. La giornata senza nubi ci regala una vista a 360 gradi che spazia per chilometri.

La vetta è stretta e parte dello spazio è occupato dalla statua della Madonnina, le cordate sono molte e non c’è posto per tutti.

Dopo le foto di rito in vetta ci prepariamo per la discesa, un attimo dopo partiti un boato inquietante richiama la nostra attenzione. Tutti ci guardiamo intorno cercando di capire cosa sta succedendo. Un centinaio di metri sotto di noi si stacca un blocco di granito enorme, sembra di vedere una palazzina che frana giù nel canale frantumandosi in centinaia di pezzi. Dura tantissimo e massi grandi come automobili rotolano giù a valle in slow motion.

Il traffico non finisce con la vetta, ci sono ancora le doppie da fare e in discesa si segue lo stesso ordine della salita. Le calate sono tre, le soste scomode e affollate e sbagliare è facile. Per fortuna Marco le ha già fatte svariate volte, quindi scendiamo abbastanza rilassati e attenti solo ai possibili problemi dovuti al traffico. In breve siamo alla base del dente, un ultimo sguardo in alto per contare le cordate impegnate sulle varie linee di discesa e andiamo a recuperare il materiale per la discesa verso il ghiacciaio.

Ormai siamo al sole di metà mattina, scendiamo con cautela tra gli sfasciumi della gengiva, in un labirinto di tracce, cercando di non perdere la via segnata solo da qualche ometto di pietra e dal buonsenso. Una volta usciti sul ghiacciaio ci aspetta solo una bella passeggiata al sole, con ramponi ai piedi e qualche decina di crepacci da saltare.

Intorno all’ora di pranzo arriviamo al Rifugio Torino, dove ritroviamo il resto del gruppo di ritorno dall’Aiguille d’Entrèves (3.604 metri). Organizziamo un pranzo con gli ultimi viveri rimasti e scendiamo a valle a cercare un posto per la notte.

Sono state tre giornate intense e faticose ma piene di emozioni e bellissime sensazioni, trascorse in ottima compagnia e in uno dei luoghi di montagna più belli al mondo. Difficile pretendere di più!

A presto

Gianluca

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